Giacomo Pellizzari, autore di Il carattere del ciclista, ha aggiunto il ritratto di Vincenzo Nibali, l’irriducibile, – fresco vincitore del Giro d’Italia 2016 – alla sua galleria di ciclisti degli ultimi quarant’anni che sono entrati nella leggenda grazie alle loro imprese sui pedali e a un carattere che li ha trasformati in personaggi speciali, icone pop immediatamente riconoscibili e capaci di differenziarsi dal resto del gruppo.

Ne diamo qui un’anticipazione che trovate in versione integrale solo nell’ebook di Il carattere del ciclista, disponibile su Amazon Kindle, iBooks, Kobo e su utetlibri.it come download gratuito per chi ha acquistato l’edizione cartacea del libro.

L’irriducibile: Vincenzo Nibali

Premessa

Torino, 29 maggio 2016. Vincenzo Nibali vince il Giro d’Italia edizione 99. È la seconda volta nella sua carriera: il primo Giro lo vinse nel 2013. Eppure stavolta c’è qualcosa di diverso, qualcosa di speciale. Perché ci è riuscito dopo essersi smarrito. Perché lo ha fatto dopo che tutti lo avevamo dato per sconfitto, nonostante prima della partenza lo avessimo acclamato come favorito indiscusso . C’è riuscito probabilmente solo a queste condizioni. Azzerando tutto. Il peso delle attese, quello dei pronostici, quello delle responsabilità, dei passi falsi e delle tabelle soffocanti. Come avesse bucato la bolla opprimente e pericolosa nella quale era rinchiuso. Poteva farlo solo lui. Senza aiuti, senza consigli. E ci è riuscito. Esattamente come compiere un viaggio agli inferi e ritornare, esattamente come facciamo noi, tante volte, nella vita di tutti i giorni. Quando sappiamo che per riemergere da un momento difficile bisogna prima essere affogati, almeno un po’. Altrimenti sarebbe troppo facile. Non tutti sono disposti a farlo, è vero, anche perché quando si affoga non c’è certezza di ritrovare poi la superficie e l’ossigeno. Ma se ci riesci così, vuoi mettere la soddisfazione? E, forse proprio per questo, ciò che ci ha regalato Vincenzo diventa ancora più prezioso. Quando ho scritto Il carattere del ciclista, Nibali aveva già vinto una Vuelta a España, un Giro d’Italia e persino un Tour de France. Vittorie importanti. Eppure era come se avesse ancora qualcosa che gli mancava, qualcosa da dimostrare per entrare a far parte dei miei eroi. Mi piace pensare che dovesse ancora capire chi era. Come uomo, come atleta, come sognatore. Ora ha fatto questo viaggio e credo, in qualche modo, di averlo fatto anche io con lui. Quello che segue è il mio modo per ringraziarlo.

Non distante da Madonna di Campiglio c’è un piccolo paese di mille anime. Si chiama Andalo. Ed è giusto al di là della montagna, tra la Paganella e le pendici orientali del gruppo delle Dolomiti del Brenta, in mezzo a boschi, conifere e vicino al magnifico lago di Molveno. Eppure è lontanissimo. Di mezzo, appunto, c’è una montagna, alta e pressoché disabitata. Madonna di Campiglio, da qui, non si vede nemmeno. Per raggiungerla o giri intorno alla montagna in auto, oppure devi alzarti di buon mattino, salire lungo sentieri impervi, inerpicarti su strade che costeggiano rocce e malghe, scavare con le mani nella terra umida e aspra e poi fermarti. Ecco, là in cima, nel silenzio del tuo respiro, se sei fortunato puoi vederla.

È martedì 24 maggio, il ciclista spagnolo Alejandro Valverde taglia per primo il traguardo della sedicesima tappa del Giro d’Italia, ad Andalo. Allarga le braccia e poi, d’improvviso, alza il pugno destro in cielo, quasi a dare un cazzotto al destino. Il corridore che sembrava smarrito sotto il peso dell’età e delle aspettative, improvvisamente è rinato. Sul suo viso segnato da mille battaglie, mentre la telecamera lo inquadra, si disegna un sorriso bellissimo. La bocca si spalanca in un urlo incontenibile contro il cielo. La gente del posto lo applaude, sincera e forse anche un po’ intimorita. “Che bello dev’essere vincere così!” pensi tu mentre in camera vedi e rivedi con invidia quelle immagini alla TV. Michele Scarponi, il compagno con cui dividi la camera, ti chiede il telecomando. Dice che c’è un programma su Canale 5 che gli interessa parecchio, ma tu sai benissimo che non è vero. È solo una scusa, la più semplice. Vuole distrarti dal tuo tormento.

Sul traguardo, dopo Valverde, staccato di un attimo, giunge Steven Kruijswijk. È un olandese e indossa la maglia rosa, è il leader della classifica. Valverde lo ha superato di un soffio proprio qualche metro prima del traguardo. Ma conta poco, la maglia rosa rimane ben salda sulle sue spalle. Steven, dicono tutti, è la vera rivelazione di questo Giro d’Italia. Un olandese che vince la corsa rosa, del resto, non si era ancora visto. Mancano soltanto cinque tappe all’arrivo finale di Torino, il distacco in classifica di Kruijswijk è alto, tre minuti abbondanti. Difficile recuperarli. Anche perché lui sembra controllare senza problemi la corsa, sia in salita che in pianura. Questa sembra essere la volta buona. Dai Steven, è fatta. Kruijswijk è alto, atletico, con spalle che sembrano essere state cesellate da uno scultore tanto sono dritte. Ha gli occhi ancora da bambino, sognanti e allo stesso tempo ancora facilmente impressionabili.

A questo punto, al traguardo, tocca aspettare soltanto te. Il più pericoloso degli avversari, quello su cui tutti puntavano, quello che doveva “vincere a mani basse”. Si contano i secondi di ritardo, niente, tu non arrivi. Improvvisamente diventi innocuo. Sei fuori combattimento: oltre un minuto e mezzo e il tempo passa ancora. Ne avevi più di tre dopo la tappa di ieri, ora stai scivolando a cinque minuti dalla maglia rosa. Un baratro. Le lancette girano, gli occhi si sbarrano. La gente comincia ad andarsene sbuffando. Qualcuno ad Andalo guarda in alto e gli pare che Madonna di Campiglio non sia poi così lontana. Come un’apparizione spettrale, si è fatta ora improvvisamente vicina e incombe. Tutti i ciclisti hanno un’ “ultima tappa” nella loro carriera. Quella che sancisce la fine, di fatto, della loro storia con il ciclismo e con le vittorie. Le ragioni possono essere molteplici: ematocrito alto, crollo atletico o persino débâcle psicologica, ma il risultato è sempre il medesimo. Non ti rialzi più. Per Marco Pantani l’“ultima tappa” fu Madonna di Campiglio, 4 giugno 1999. Da lì non si riprese più. Per Vincenzo Nibali potrebbe essere Andalo, 24 maggio 2016. Diciassette anni e una montagna di mezzo.

Finalmente eccoti. Arranchi tra le transenne e una folla che non ne vuole sapere di eroi che tradiscono. Guadagni a fatica il traguardo, ti guardi attorno spaesato. Non sono 5 i minuti di ritardo dalla maglia rosa, ma 4 e 43 secondi. Salvo un miracolo, per te è finita. Lo spettro dell’ultima tappa pare averti agguantato. Ma, quel che è peggio, è chiaro a tutti che sull’ultima salita sei andato definitivamente in crisi. Le avvisaglie c’erano già state nei giorni precedenti, ma nessuno ci aveva voluto credere. Oggi invece tutto è chiaro: Vincenzo non ne ha più. È di un altro livello, nettamente più basso rispetto agli altri. Appena Alejandro e Steven cambiano ritmo, lui resta indietro. Se ne accorgerebbe anche un bambino. Meglio rassegnarsi. È finita. Andalo sarà la tua Madonna di Campiglio. Nel tuo entourage si vocifera di uno strano virus nel tuo sangue. Si predispongono analisi e accertamenti vari, qualcuno insinua persino l’ipotesi del tuo ritiro in caso i risultati degli esami non siano buoni […]

(Leggi la versione integrale nell’ebook Il carattere del ciclista di Giacomo Pellizzari, UTET)