Favole

Favole

Le favole sono, forse da sempre, il portale d’accesso al mondo della letteratura. È sulla ridotta misura di queste storie che, bambini, prendiamo familiarità con la finzione, per poi dirigerci verso forme letterarie più complesse. Difficilmente ritorneremo da adulti in quei territori di animali parlanti e di morali scabre e perfette, ed è un peccato.

Qualcosa di simile si registra, su un piano diverso, nella storia della letteratura, dove sono pochissimi gli autori che si siano votati solo a questa forma artistica. Nel mondo latino il più noto è Fedro: schiavo come fu lo stesso Esopo, traduce e adatta la favola greca, nobilitandola attraverso la poesia. Nei versi ritrae un mondo di potenti, astuti, malvagi, sciocchi, avidi, superbi, indifesi e saggi che abbrancano, arraffano, stritolano, gracidano, sogghignano, gemono, sopportano, muoiono. Ma quel che racconta è sempre l’uomo, che sia trasfigurato in animale o meno.

Più manierato e meno crudo è Aviano, tanto celebre in epoca medievale quanto sconosciuto oggi. Visse quattro secoli dopo Fedro, e il loro magistero favolistico finisce così per abbracciare idealmente l’intera storia dell’impero romano. La loro eredità passerà dalla cultura latina a quella in volgare, per entrare poi nella modernità grazie all’opera di La Fontaine e proseguire fino a noi: alterata dalle incrostazioni dei secoli, tra riscritture, modernizzazioni e cartoonizzazioni, la favola classica è nota ma non conosciuta, relegata nelle nebbie delle memorie scolastiche. Andiamo allora alla fonte, e leggiamo le favole di Fedro e Aviano. Scopriremo negli originali (per quanto possa ambire all’originalità un genere come questo), una nitidezza e una rapidità seconde solo a quelle di Esopo stesso.