Irma Cantoni ha ambientato Il Bosco di Mila a Brescia, la sua città natale. Ne ha raccontato la storia e i cambiamenti che l’hanno segnata e continuano a modificarla dal secondo dopoguerra a oggi e ha reso omaggio una scena dopo l’altra alla sua bellezza e ai suoi simboli, a partire dalla Vittoria alata, conservato nel complesso monumentale di Santa Giulia. Vittoria è anche il nome della protagonista di Il Bosco di Mila.

Vittoria Troisi e la Vittoria alata di Brescia

di Irma Cantoni

«Guardi!», esclamò lui davanti a una statua di donna, «Pare il il simbolo del suo nome». Stavano davanti alla Vittoria alata. «Sa che teneva in mano, quando era integra? Uno scudo. Nell’altra uno stilo. Sullo scudo scriveva i nomi dei vincitori. Non le pare una metafora?»

«Se lo è, non la capisco».

«Lo scudo non c’è più, lo stilo nemmeno. Proprio come lei. Una Vittoria che non può comunicare, disarmata».

«Si sbaglia, in origine la statua ammirava il proprio riflesso nello scudo di Marte». Glielo aveva raccontato Mirko Rota in uno dei loro giri di approfondimento della città, per farla appropriare del territorio, così diceva lui. «Se vuole però ricordarmi che devo stare zitta, e che lei è quello che vince sempre, lo creda pure».

«Era solo un’ipotesi di somiglianze», rispose vago, ma sembrava seccato.

Il simbolo di Brescia è una scultura in bronzo della Vittoria alata, una delle molte sorprese del complesso monumentale di Santa Giulia, luogo di bellezza sconfinato in cui perdersi e svenire. Non si poteva non parlarne in un thriller che ha come protagonista una donna formidabile e con lo stesso nome, Vittoria.

Dopo il rinvenimento del 1826 durante uno scavo, la fama della Vittoria alata si diffuse in tutta Europa, tanto che Napoleone III, colpito dalla sua bellezza, ne volle addirittura una copia, ora al museo del Louvre. Comunque, nel frattempo, le successe di tutto: le aggiunsero una tunica, inserirono le ali, ipotizzarono reggesse uno scudo, che non esiste più, le misero un elmo sotto un piede e poi lo tolsero. Un elmo che forse andò perso durante un allarme aereo nel 1940, quando la Vittoria alata fu nascosta con prudenza a Villa Fenaroli di Seniga, un paese a sud di Brescia.

All’inizio la si ritenne un’opera romana del I secolo che rappresentava la dea intenta a scrivere nome e gesta del vincitore su uno scudo. Poi si scoprì che la base originaria era ellenistica, del 250 a.C., e che ritraeva Afrodite mentre si specchiava nello scudo di Ares. È vero, sono in molti a dire che in origine la dea “si guardava vanitosa”, ma a me piace pensare a una sua espressione di splendore più profonda, vale a dire che la dea stesse ammirando meravigliata il proprio riflesso nello specchio e che una domanda straordinaria le sorgesse nella mente: chi sono?

Nel 1927 l’ingegno umano forgiò un’altra Vittoria Alata, questa innalza però una fiaccola. È maestosa. Si trova in cima all’enorme faro che sovrasta Trieste e il suo mare. È alta più di sette metri, e all’interno ha un sistema di tiranti che le permette invisibili flessioni delle ali contro le raffiche del vento. Ci sono però delle leggende: alcuni narrano di aver visto la Vittoria Alata di Trieste, sferzata dalla bora, sbattere con forza le ali per non cadere dalla cupola.

Anche a me piace immaginarla travolgente e impetuosa mentre affronta le forze dell’infinito, così come mi piace pensare che la Vittoria Alata di Brescia si osservi con stupore nello specchio della propria mente, come Vittoria Troisi.