Carolina Capria continua il suo viaggio Nel mondo di Piccole donne (in libreria) con la recensione del film di Greta Gerwig che, scrive, è stata capace di prendere una storia vecchia e su cui pareva non ci fosse altro da dire e di renderla nuova.

C’è stato un tempo in cui le giornate erano sorprendenti, in cui giocare significava sudare e stancarsi, divertirsi era ridere a crepapelle, e la tristezza era talmente intensa da consumarsi rapidissima senza lasciare traccia.

Un tempo in cui bastava pochissimo per toccare la gioia, ed era salda la convinzione che stando vicino alle persone che amavamo nulla di brutto sarebbe potuto succedere.

In questo tempo ormai passato molte di noi si sono specchiate nella storia delle sorelle March.

E forse lo stesso è avvenuto per Greta Gerwig, che nella sua versione cinematografica del classico di Louisa May Alcott ha deciso di rendere protagonista la nostalgia.

Nostalgia del tempo passato, delle ragazzine che siamo state, di quelle giornate come sorsate di acqua fresca, trascorse in cameretta a leggere o in cortile a correre.

Ho visto (e amato) tutte le versioni di Piccole donne, ho voluto bene alla Jo interpretata da Winona Ryder o Katharine Hepburn, alla Amy di Elizabeth Taylor, mi è piaciuta anche la miniserie del 2017, ma in nessuna di queste trasposizioni ho trovato quello che invece illumina ogni scena scritta da Greta Gerwig: l’amore.

Greta Gerwig non si è limitata a mettere in scena una storia che più o meno conosciamo tutti, ha preso quella storia e con rispetto e sentimento l’ha smontata e riassemblata, cercando così di aggiungere uno sguardo — il suo — a qualcosa che era già stato narrato decine di volte. In una delle scene più belle del film, Jo che sta scrivendo la storia della sua famiglia (il “Piccole donne” che poi porterà al suo editore), è in piedi nella soffitta, tutte le pagine del romanzo per terra, e continua a spostare fogli, a creare nuovi incastri tra una scena e l’altra. In quel preciso momento noi non stiamo guardando solo Jo March che lavora al suo romanzo (e si sovrappone a sua volta a Louisa May Alcott), ma Greta Gerwig che lavora al suo film.

Una matrioska che raffigura la creatività femminile e lo spazio che si è guadagnata (e ancora si guadagna) nella storia.

Jo March, giovane donna che sogna l’indipendenza e lotta per trovare la sua strada in un mondo letterario che non accoglie il genio femminile.

Louisa May Alcott, scrittrice ambiziosa che decide di scrivere un romanzo con protagoniste solo delle donne per raccontare la crescita e la battaglia per trovare se stesse, che cede a dei compromessi, ma che ci regala quattro personaggi memorabili.

Greta Gerwig, regista e sceneggiatrice temeraria, originale e talentuosa capace di prendere una storia vecchia e su cui pareva non ci fosse altro da dire e di renderla nuova.

Carolina Capria